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Ciao e benvenuta/o in un nuovo articolo di Thesis 4u! Oggi faremo insieme un breve viaggio nella storia della moda e della fashion: saltelleremo infatti tra i punti di svolta più importanti, per arrivare a capire perché nell’ultimo periodo sia cresciuta molto l’attenzione dei consumatori in questo campo!

fashion e moda

Che cos’è la moda?

Non staremo qui a snocciolarti la definizione di moda che fornisce la Treccani (comunque se vuoi leggerla è qui), ma è indubbio che questa sia un fenomeno sociale che può raccontare moltissimo della società in cui si sviluppa. In particolare, nella nostra contemporaneità in cui le immagini svolgono un ruolo fondamentale, per la rapidità con cui si diffondono, le industrie facilmente possono creare o appropriarsi di modelli adatti a diventare merci nel mercato internazionale. 

Dalle collezioni costosissime di Yves Saint Laurent o Chanel, alle T-shirt con il logo di Hollister, marchio che spopolava tra chi è stato teenager intorno al 2010 (ti ricordi le file per entrare in un’ideale California del Sud?), ai “risvoltini” (questa forse è da dimenticare, che dici?), tutto si può considerare in un certo senso moda, a seconda del significato che scegliamo di attribuire a questa parola. Il termine “moda”, infatti, racchiude in sé molteplici sfumature.

Non si riferisce esclusivamente all’alta moda (per i veri intenditori insomma), ma anche alla più generale tendenza di un gruppo, ristretto o esteso che sia, a vestirsi in un certo modo (che sarà comunque influenzato da quell’alta moda da cui ci sembra di essere tanto distanti) seguendo un determinato tipo di gusto. La moda può, quindi, investire altri ambiti apparentemente slegati dall’abbigliamento, andando a influenzare movimenti artistici, letterari e varie abitudini.  

Un esempio lampante di questo dialogo tra moda e arte è offerto da un artista contemporaneo italiano, da molto tempo vicino all’idea di moda sostenibile: Michelangelo Pistoletto

Credits to: Ado, analisidellopera.it

Dando origine alla realtà artistica che è conosciuta come “arte povera”, nel 1967,  Pistoletto realizzò la celebre Venere degli stracci.  In quest’opera, egli volle confrontare la classica idea di bellezza ordinata, rappresentata dalla Venere, e il suo opposto, rappresentato dal cumulo disordinato di stracci. 

Nel 2021, quest’opera si è arricchita di un ulteriore significato, poiché Pistoletto la rivisita in un’installazione fotografica che ha costituito la copertina del numero di settembre 2021 di Vogue Italia.

Credits to: Vogue.it

Alla rappresentazione tradizionale, si aggiungono la modella Freja Beha Erichsen e nuovi abiti, firmati Prada, che si accumulano tra gli stracci. La Venere resta nuda e la sua nudità è, da un lato, il simbolo del continuo vestirsi e svestirsi delle persone e dall’altro è  bellezza dell’arte, memoria che si contrappone all’incessante cambiamento delle cose, degli stracci che si accumulano diventando abiti-rifiuto. 

Ma facciamo un passo indietro… quando nasce la moda? 

La moda, come qualsiasi altra forma di espressione culturale, nasce con l’uomo e in particolare quando la necessità di vestirsi si arricchisce con il gusto di come vestirsi.

Recentissima è la scoperta di quella che è stata chiamata “la pellicceria di Adamo”, una grotta di Contrebandiers, sulla costa atlantica del Marocco in cui sono stati ritrovati e studiati ossa di animali e strumenti che farebbero pensare a un’attività di pelletteria risalente a 120 mila anni fa. Insomma, anche i primi uomini curavano il loro aspetto e andando più in là, nell’epoca romana, si trovano addirittura delle leges sumptuariae (leggi suntuarie) che limitavano il lusso nella moda maschile e femminile. 

In ogni caso, per iniziare a trovare quell’identificazione tra il vestito e il ruolo/livello sociale, che talvolta persiste ancora oggi, bisogna risalire al Medioevo. Sì, proprio nel “buio” Medioevo, tra monasteri e comuni in lotta tra loro, la divisione in classi sociali si fa via via più netta e altrettanto divisorio diventa il modo di vestire che differenzia chi ha il potere (clero, aristocratici), da chi lavora per quel potere. 

Questa tendenza attraversa i secoli, tanto che negli anni ’70 del XVII secolo, il re Luigi XIV vieta a chi non era membro della corte reale di indossare tacchi rossi, segno di appartenenza a una classe superiore. Nel secolo della ragione, gli abiti delle donne aristocratiche erano cuciti su misura, così difficili da indossare da richiedere l’aiuto di altre mani che vestissero la nobildonna.

L’abito degli aristocratici settecenteschi è innanzitutto una cosa talmente complicata da indossare che richiede, nel caso delle donne, almeno due cameriere

Instant Moda, Andrea Batilla.

I primi passi dell’industria tessile…

Un quadro del genere è ben lontano dalla produzione in serie che caratterizza la nostra contemporaneità. Durante il corso dei secoli, la fashion e la produzione di capi di abbigliamento non era una produzione di massa bensì di tipo sartoriale, con l’unico obiettivo di vestire il singolo individuo con abiti cuciti su misura. E’ a partire dall’1800 che compaiono i primi abiti realizzati in serie, e destinati alle donne della classe media, affermatasi con la Rivoluzione Francese. 

Non a caso il primo stilista storicamente riconosciuto si incontra proprio nel XIX secolo: Charles Frederick Worth, inglese trapiantato a Parigi, che arrivò a diventare il fornitore principale di Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III. Egli dà inizio a quella venerazione per la figura dello stilista che cambia completamente il funzionamento della moda, tanto che, ancora oggi, anche tra i non appassionati della fashion, sono del tutto familiari nomi di celebri stilisti come Gianni Versace, Miuccia Prada e tanti altri. 

Ovviamente, per la produzione nel 1800 non si può ancora parlare di fast fashion ma… di fast qualcosa c’è: la produzione in serie velocizzata dalle classi operaie. Nel corso del 1900, in particolare negli anni ’50, ci fu un  incremento dell’acquisto di capi prodotti in fabbrica; erano soprattutto i/le più giovani a voler indossare gli abiti che trovavano già pronti nei negozi anziché quelli personalizzati o fatti in casa, come facevano i loro genitori. 

Una gonna e un autobus… inizia proprio così:

Per comprendere questo radicale cambiamento di società, prova a pensare a un autobus e una minigonna. Che cosa hanno in comune un autobus e una minigonna? Dirai… un tubo! Beh, in realtà è proprio con questa combinazione improbabile che i vestiti prendono parte ai processi di industria.

Prima del 1960 la minigonna non esisteva: esistevano solo gonne lunghe. Sembra che Mary Quant, proprio per correre dietro ad un autobus, accorciò di netto la sua gonna, un taglio di ben 50 cm di stoffa. Ed eccola lì che nasce, la minigonna, emblema della moda e dell’emancipazione femminile. Uno dei meriti della famosa stilista, riconosciuta inventrice della minigonna, è stato proprio quello di aver intercettato la volontà dei giovani di avere un abbigliamento diverso da quello dagli adulti abituati a un altro tipo di moda.

Ma quindi, cos’è questa fast fashion? 

Lo traduciamo semplicemente come “moda veloce”. Veloce perché le aziende attualmente producono e vendono capi economici e alla moda, proponendone continuamente di nuovi, stagione dopo stagione. Insomma, anche chi non può permettersi il lusso dei grandi marchi, ha con la fast fashion la possibilità di vestirsi meglio e soprattutto di possedere molti più capi. 

Siamo sicuri, però, che armadi pieni di roba che nemmeno mettiamo (confessa anche tu: quante cose davvero indossi tra le tante di cui hai fatto incetta nei negozi di catena?) e il prezzo stracciato dei capi, non siano un problema? 

Al portafogli farà male sentirlo, ma sì! Pagare meno per avere di più può essere un problema! Infatti, per poter vendere i capi a prezzi più bassi e garantirsi guadagni comunque sostanziosi, spesso molte aziende devono in qualche modo ridurre i costi di produzione e di distribuzione, altrimenti fallirebbero in poco tempo.

Purtroppo, una riduzione dei costi si traduce, spesso, in una riduzione salariale. Si pagano meno i propri lavoratori e/o si delocalizza la produzione in paesi esteri dove i costi della manodopera sono minori. Lo scandalo dell’industria della Fast Fashion è ben esaminato in un docufilm che ha contribuito molto a richiamare l’attenzione sulle problematicità di questa produzione: “The true cost”.

Il film-documentario affronta gli effetti dell’industria della Fast Fashion a partire dal crollo del Rana Plaza di Savar, edificio crollato in Bangladesh che ha causato la morte di oltre 1000 lavoratori (per lo più donne e bambini) nel 2013. 

Per far fronte alle problematiche legate a questa industria sono nate diverse iniziative, che pian piano stanno provando a cambiare queste dinamiche e a fornire un’alternativa sostenibile alla fast-fashion. Una recente indagine di Thred-Up rileva infatti che il mercato di seconda mano conoscerà una consistente impennata nei prossimi 5 anni e non a caso questo sembra essere davvero «un buon momento» (secondo IlPost) per le app che vendono capi di seconda mano tra cui Vinted, Depop, Wallapop…persino Zalando ha lanciato un programma di scambio abiti di seconda mano.

fashion

Questa tendenza ha portato molti brand di fast fashion ad appropriarsi delle battaglie per la sostenibilità della produzione tessile, per rispondere alla crescente consapevolezza dei consumatori in merito.

È quel che può definirsi il green-washing, un modo di comunicare il proprio brand in maniera pseudo-sostenibile, per esempio utilizzando etichette verdi (sicuro l’effetto eco-friendly) indicanti che quel capo è prodotto in maniera ecosostenibile, salvo poi avere l’intero negozio che continua a straripare di capi che sono il risultato di delocalizzazione dell’industria, salari da fame e disinteresse totale per il rispetto dell’ambiente.

Qualcosa però sta cambiando… Scopriamolo insieme!

Case study: H&M 

H&M è notoriamente una delle più affermate catene di fast fashion. È, peraltro, notizia recentissima che il marchio abbia chiuso l’anno con incassi nettamente superiori alle catene affini. 

Tuttavia, ci sono stati nel tempo alcuni segnali che hanno fatto pensare a una crescente attenzione del gruppo per l’economia circolare. Nel 2015, il gruppo H&M aveva cominciato a investire in Sellpy, applicazione svedese per la vendita di capi di seconda mano, arrivando a possedere circa il 70% della società.  Sellpy ha annunciato l’apertura in oltre 20 Paesi europei, scommettendo sull’aumento del mercato di seconda mano. 

Insomma, se c’erano stati già segni di cambiamento per il grande marchio, ora sembra sempre più urgente un rinnovamento che non sia solo un green-washing di facciata. Nel 2021, era stata annunciata un’ulteriore iniziativa volta alla sostenibilità con la devoluzione al WWF (progetto Oasi)  del ricavato derivante dalla vendita dei sacchetti di carta. Inoltre, il marchio si è impegnato a garantire che entro il 2025, tutti gli imballaggi siano riutilizzabili, riciclabili o compostabili.

Un punto di svolta significativo sembra esser però la promessa del gruppo H&M di raggiungere l’obiettivo, entro il 2030, di utilizzare esclusivamente (quindi al 100%) materiali sostenibili o riciclati. 

Stiamo percorrendo una strada che ci porterà a usare solo materiali riciclati o provenienti da fonti sostenibili entro il 2030.

Per quanto riguarda il cotone, il materiale che usiamo di più, l’obiettivo è già stato raggiunto. Gli altri materiali provenienti da fonti sostenibili da noi utilizzati al momento vanno dalle fibre naturali facilmente rinnovabili a quelle quasi interamente naturali, fino ai materiali sintetici riciclati (Sustainability – H&M Group (hmgroup.com))

Tu che ne pensi? I marchi di fast-fashion potrebbero virare verso l’ecosostenibilità? Conosci altre catene che hanno promesso di impegnarsi in tal senso? Diccelo sui nostri social! 

About the Authors: Giorgia, Contributor Thesis 4u; Laura, Blog Coordinator.

About the sources:

  • Instant Moda, Andrea Batilla
  • The true cost
  • La pellicceria di Adamo: https://www.focus.it/scienza/scienze/abbigliamento-pellicceria-preistoria
  • Analisi della “Venere degli stracci”: https://www.analisidellopera.it/venere-degli-stracci-pistoletto
  • Venere degli stracci per Vogue Italia: https://www.vogue.it/moda/article/michelangelo-pistoletto-intervista-esclusiva-cover-settembre
  • Arti in Fashion, il corso frutto della collaborazione di Polimoda e Fondazione Pistoletto: https://www.cittadellarte.it/subattivita/art-in-fashion
  • H&M:  https://fashionunited.it/news/moda/h-m-solo-materiali-riciclati-o-sostenibili-entro-il-2030/2017041715828
  • Charles Frederick Worth: https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/costume/a33926059/charles-frederick-worth-stilista/