Giulia De Magistris ci guida attraverso l’analisi dei leitmotive di Howard Shore, le sfide accademiche e una visione audace per una musicologia che riscopra il cuore pulsante delle emozioni sonore.
Ciao a tutti e a tutte bentornati in un nuovo articolo del blog di Thesis 4u, la startup innovativa che mette in collegamento gli studenti e le studentesse con le aziende, grazie alle tesi di laurea in azienda
Nel vasto e affascinante panorama de Il Signore degli Anelli, dove le analisi strutturali e le disquisizioni tecniche spesso predominano, emerge una voce fresca e appassionata: quella di Giulia De Magistris.
Con una dedizione che trascende la mera accademia, Giulia si posiziona come una ricercatrice che, pur padroneggiando la complessità tecnica, non dimentica mai il cuore pulsante de Il Signore degli Anelli: la sua intrinseca capacità di generare una profonda sinfonia emotiva.
La sua esplorazione non si limita ai confini delle partiture, ma si estende all’impatto psicologico e narrativo del suono. Propone una visione olistica che rivaluta l’esperienza umana nell’incontro con l’arte musicale.
Abbiamo avuto l’opportunità di approfondire il suo percorso formativo, le sue ricerche innovative e le sue prospettive future. Scoprendo un approccio che promette di ridefinire il dialogo tra musica e ricezione.

Il Fascinante incanto del leitmotiv: L’anima sonora della terra di Mezzo
Il punto di partenza del viaggio di Giulia è un’opera iconica che ha scolpito nell’immaginario collettivo un mondo di epicità e meraviglia: la trilogia cinematografica de “Il Signore degli Anelli”.
La sua tesi di laurea triennale, benché considerata da lei stessa un “punto di partenza” e non un lavoro esaustivo, rappresenta un’analisi illuminante sull’uso magistrale sull’uso magistrale della tecnica leitmotivica da parte di Howard Shore, il compositore dietro l’indimenticabile colonna sonora.
Questa ricerca ha svelato come Shore abbia plasmato l’esperienza di ascolto del pubblico, trasformando il suono in un vero e proprio tessitore di significati e sentimenti.
“Inizialmente, l’idea era di confrontare ‘Il Signore degli Anelli’ con le opere di Wagner,” ci spiega Giulia, ripercorrendo la genesi del suo lavoro. “Tuttavia, era un tema già fin troppo dibattuto e la mia ricerca avrebbe rischiato di perdersi in un mare di studi preesistenti.”
“Con il mio relatore, il professor Sala, abbiamo optato per una focalizzazione più specifica: l’aspetto drammaturgico e semantico della musica nel film.” Questa scelta si è rivelata fruttuosa, portando a scoperte sorprendenti che hanno arricchito il panorama della musicologia cinematografica.
Una delle rivelazioni più affascinanti è stata l’influenza inaspettata che Shore ha tratto dal teatro italiano. Pur attingendo al concetto wagneriano di leitmotive – un tema musicale ricorrente associato a un personaggio, un luogo, un’idea o un’emozione – la sua drammaticità sembra riflettere più profondamente le tradizioni operistiche del Bel Paese.
“È stato sorprendente scoprire che Shore era molto più affine alla musica italiana che a quella tedesca,” rivela Giulia. “Se avessi avuto più tempo, un confronto diretto tra l’opera lirica italiana e la musica de ‘Il Signore degli Anelli’ sarebbe stato un percorso di ricerca estremamente stimolante.”
Questo spunto, sebbene non pienamente sviluppato nella tesi triennale a causa dei tempi compressi (il lavoro è stato redatto in un mese e mezzo), evidenzia il potenziale inespresso e la profondità della visione di Giulia.
Il lavoro di ricerca di Giulia ha messo in luce una verità fondamentale: la musica per film non è un mero corredo sonoro, ma un’entità vitale che interagisce attivamente con i nostri processi cognitivi. Incide sulla nostra percezione del significato, modulando gli stati d’animo che l’immagine cinematografica intende comunicare.
Attraverso l’uso sapiente dei leitmotive, Shore ha creato una vera e propria sinfonia emotiva che si dispiega parallelamente alla narrazione visiva, arricchendola e a volte anticipandola. Questo approccio trasforma la musica in un agente narrativo autonomo, in grado di possedere un proprio significato drammatico ed emotivo.
Ogni tema musicale associato a Frodo, alla Contea, agli Orchi o all’Anello non è solo un’identificazione, ma un catalizzatore di sensazioni. È un mezzo per guidare lo spettatore attraverso le profondità psicologiche dei personaggi e l’immensità della Terra di Mezzo.
L’esperienza leitmotivica, dunque, non è un semplice riconoscimento melodico, ma un vero e proprio viaggio nell’interiorità, dove il suono modella e amplifica la risonanza emotiva della storia. È un ascolto che va oltre la superficie, penetrando nell’essenza della narrazione e della condizione umana rappresentata.
Tra i banchi universitari e realismo accademico: Il percorso di Giulia
Il percorso accademico di Giulia è un mosaico di passione, dedizione e una sana dose di realismo. La sua scelta di intraprendere gli studi in Beni Culturali era un passo strategico verso il suo obiettivo finale: la musicologia magistrale.
“In Statale, purtroppo, non esiste un corso di musicologia a ciclo unico,” spiega Giulia.
“La mia strategia è stata quella di concentrare quanti più esami possibile nelle aree che mi interessavano maggiormente: musica, teatro e cinema.”
Questa impostazione le ha garantito una formazione ampiamente interdisciplinare, un prerequisito fondamentale per chi desidera comprendere la musica nella sua totalità. “La musica, essendo un’arte che abbraccia e si lega a tutte le altre – dal teatro al cinema, dalla letteratura persino alla moda – richiede una prospettiva vasta,” sottolinea Giulia.
“Sono sinceramente soddisfatta del mio percorso, perché mi ha fornito gli strumenti per creare connessioni profonde con la materia in cui mi specializzo.”
Dopo aver conseguito la laurea triennale con una tesi in drammaturgia musicale, Giulia ha proseguito il suo cammino iscrivendosi alla magistrale in musicologia. È stato durante questo periodo che ha avuto un’opportunità formativa cruciale: l’ingresso al Conservatorio di Milano.
“Durante il secondo anno di magistrale, sono riuscita ad accedere a dei corsi al Conservatorio,” racconta. “Molti studenti ne sono intimoriti, perché le materie sono più tecniche e l’ambiente può sembrare meno accogliente, ma io ho pensato: ‘Perché no?’”.
Questa immersione nel Conservatorio le ha aperto le porte a un mondo nuovo e stimolante: quello della musica contemporanea.
Tuttavia, l’esperienza ha rivelato anche le rigidità del sistema accademico della Statale, in particolare la netta separazione tra università e conservatori. “Non è possibile laurearsi con un professore del conservatorio se si è studenti universitari, e viceversa,” fa notare Giulia.
“È una vera limitazione, perché si perde l’opportunità di creare collaborazioni esterne preziose, di far valere i periodi di studio trascorsi in contesti complementari.” Questa frammentazione, a suo parere, ostacola una crescita sinergica e interdisciplinare che sarebbe invece fondamentale per una formazione completa nel campo delle arti.

Limiti, potenziali e orizzonti inesplorati: Oltre la tesi
La tesi di Giulia, pur essendo un punto di partenza di grande valore, ha messo in evidenza le sfide intrinseche di una ricerca pionieristica su un argomento relativamente inesplorato. “Ho trovato davvero pochissimo materiale,” spiega Giulia, sottolineando la difficoltà di costruire un lavoro approfondito su basi bibliografiche solide.
“Nonostante fosse una tesi bibliografica, ho dovuto cercare e raccogliere documenti che combinassero l’aspetto psicologico con quello musicale, ma erano davvero esigui.”
Questa carenza l’ha portata a fare affidamento su un’unica, monumentale opera di un musicologo
americano, Doug Adams: un libro che, peraltro, ha dovuto ordinare dagli Stati Uniti, e di cui purtroppo non esiste ancora una traduzione italiana.
“Questo musicologo ha dedicato dieci anni della sua vita ad analizzare solo la musica per i film di Shore,” racconta. “Mi sono basata quasi esclusivamente su quello. Ma la sua era un’analisi prettamente musicale.”
“L’interpretazione emotiva che ho cercato di dare, pur essendo fondata, non era scientificamente provata da test sulla reazione cerebrale all’ascolto, come avviene in altri campi. Ero molto limitata dal materiale disponibile.”
Questo limite evidenzia la necessità di un approccio più interdisciplinare, che possa integrare le scienze cognitive e la musicologia. “Sarebbe stato ideale collaborare con uno psicologo,” riflette Giulia, “o con esperti di musicoterapia, ma anche in questo caso, le realtà universitarie non lo permettono. E se sì, non agevolano i contatti tra le diverse facoltà”.
Nonostante queste limitazioni, Giulia ha identificato una miriade di ambiti di approfondimento che avrebbero potuto arricchire ulteriormente il suo lavoro. Se avesse avuto a disposizione più tempo e risorse, avrebbe certamente approfondito altri temi musicali de “Il Signore degli Anelli”.
Temi che, pur essendo centrali, non ha potuto esplorare. Tra questi spicca l’elemento della natura, così onnipresente e significativo nei film, che Shore ha saputo tradurre in sonorità uniche.
Poi c’è Gollum, una figura complessa e tormentata, il cui tema musicale riflette le sue molteplici sfaccettature psicologiche. E ancora, il tema degli Orchi, che offre spunti di analisi sorprendenti.
“Ho scoperto che per le musiche degli Orchi, Shore ha utilizzato i canti dei giocatori di rugby Maori australiani,” rivela Giulia con un entusiasmo contagioso. “Ha chiamato sessanta cantanti, di cui dieci ‘groomers’ e cinquanta giocatori Maori, per dare alle musiche un suono selvaggio, gutturale, quasi primordiale. È una curiosità che mi ha colpito tantissimo.”
Un altro filone di ricerca che avrebbe voluto esplorare riguarda i testi e la fonetica delle musiche. “Non ho analizzato i testi,” ammette Giulia. “Ma ci sono quelli degli Elfi, degli Orchi, dei Nazgûl, tutti incredibilmente interessanti dal punto di vista sonoro.”
“I testi degli Orchi, ad esempio, hanno una risonanza gutturale, profonda, che evoca brutalità. Al contrario, per gli Elfi, si usano solitamente voci femminili o bianche, eteree, per trasmettere un senso di purezza e spiritualità.”
L’analisi di questi aspetti avrebbe richiesto una vera e propria ricerca letteraria e linguistica, evidenziando come la scelta del suono e della parola contribuisca a costruire una complessa sinfonia emotiva. Questa analisi, tuttavia, avrebbe richiesto un impegno significativo e la disponibilità di materiale specifico, che Giulia non era sicura di trovare.
La struttura della sua tesi è stata concepita come un progressivo approfondimento, un viaggio che dal generico conduce allo specifico. Il primo capitolo ha fornito un’introduzione al lavoro di Shore, esplorando le sue intenzioni artistiche.
Voleva trasmettere allo spettatore un’esperienza sonora quanto più fedele possibile allo spirito e alla dettagliata scrittura di Tolkien. “Tolkien era un maestro delle descrizioni, capace di farti sentire immerso nella Terra di Mezzo,” spiega Giulia. “Shore voleva fare lo stesso, ma con il suono, creando una ‘descrizione sonora’ di quel mondo.”
Il secondo capitolo ha invece approfondito il concetto di leitmotive in sé, distinguendolo dai “musical topics”, che sono convenzioni musicali immediatamente riconoscibili. A differenza del leitmotive che si sviluppa e si ripresenta nel tempo.
Questo capitolo ha anche toccato, seppur brevemente, i meccanismi con cui il cervello umano elabora i segnali musicali, un campo che Giulia desidera approfondire ulteriormente in futuro.
Le prospettive future dopo la tesi dedicata a “Il Signore degli Anelli”: scrittura, insegnamento e la riscoperta dell’anima della Musica
Dopo la laurea magistrale, il cammino professionale di Giulia è stato, come spesso accade per i giovani laureati, un percorso di ricerca e adattamento. Inizialmente, ha affiancato l’insegnamento temporaneo con le MAD a uno stage in un’azienda di comunicazione specializzata in musica classica.
Questa esperienza, durata quattro mesi, le ha permesso di lavorare a progetti con clienti prestigiosi come la Filarmonica della Scala, occupandosi di riprese video e audio, interviste (spesso scritte da lei) e traduzioni.
Tuttavia, non è stata un’esperienza pienamente soddisfacente. “Non era un lavoro strettamente legato alla mia facoltà,” ammette Giulia. “E a volte mi trovavo a svolgere mansioni che non rientravano nelle competenze di uno stagista, come pulire e organizzare l’ufficio, il tutto per una paga misera.”
Attualmente, Giulia sta aspettando una chiamata per l’insegnamento nelle scuole, ma il suo vero sogno e la sua più grande passione risiedono nella scrittura e nell’analisi musicale.
“Non aspiro a definirmi ‘musicologa’ in senso stretto, perché mi sembra un sogno troppo grande, data la mole di studio richiesta,” afferma con umiltà, ma con la chiara consapevolezza delle sue ambizioni. Tuttavia, la sua vocazione per la scrittura di musica è inequivocabile.
Uno dei suoi progetti attuali è la redazione di un rapporto narrativo per la Masterclass estiva a cui partecipa come storica, documentando l’evoluzione dei giovani compositori. “Sono alla terza edizione e ho avuto l’opportunità di osservare il loro percorso,” racconta.
“Vorrei studiare come, in questo contesto, sia evoluta la loro poetica.” Questo lavoro la vede impegnata nell’analisi di tre casi studio: un compositore più maturo, un compositore che ha frequentato tutte e tre le edizioni della Masterclass, mostrando una chiara evoluzione; e un giovane compositore che ha radicalmente cambiato la sua direzione, passando dal violoncello alla composizione.
“È affascinante analizzare questi tre casi e comprendere cosa sia successo in questi anni,” riflette Giulia. “I giovani compositori non vengono studiati a fondo, ma è proprio da loro che emerge la musica del futuro.”
Un progetto più ambizioso, ma al momento sospeso per la sua complessità, riguarda un’analisi storica della poetica musicale dei compositori, da Machaut a Stravinsky, fino ai contemporanei come Filidei.
“Mi sono bloccata perché mi sono resa conto della vastità e della complessità del lavoro,” spiega Giulia. “Non c’è una risposta unica, e la società odierna si trasforma così rapidamente che è quasi impossibile inquadrare stabilmente il ruolo del compositore. Richiederebbe un impegno enorme, interviste, analisi di partiture, ma mi piacerebbe molto tornarci.”
Ciò che distingue Giulia e la rende una voce preziosa nel panorama musicologico è il suo interesse intrinseco per il significato emotivo della musica. “I miei colleghi hanno notato che sono una delle poche a interessarsi ancora all’emozione che la musica trasmette,” osserva con un tono che rivela una certa frustrazione.
“Oggi, molti musicologi tendono a prendere la musica e a farne un ‘pezzo anatomico’ da analizzare, come un corpo da smembrare e studiare solo tecnicamente. Ma la musica è arte, è espressione dell’umano. Questo aspetto deve essere ripreso, soprattutto nel mondo di oggi.”
La sua visione è chiara: la musica, al pari di altre forme d’arte come il cinema – basti pensare a successi come “Inside Out” o a opere che esplorano le sfumature emotive – deve ritornare a essere un veicolo privilegiato per esplorare la sinfonia emotiva dell’esistenza.
Le emozioni, come sottolinea Giulia, sono il fulcro della nostra esperienza, presenti in ogni ambiente, dalla famiglia al lavoro. Riconoscere e valorizzare la capacità della musica di toccare queste corde significa restituirle la sua funzione più profonda e universale.

La sinfonia emotiva del futuro e la voce di Giulia
In un’epoca di trasformazioni rapide, la musica contemporanea si presenta con un volto multiforme. Giulia, con la sua curiosità, esplora anche compositori meno noti al grande pubblico ma di grande impatto.
Questo interesse per artisti che riescono a comunicare pur esplorando nuove frontiere sonore è emblematico della sua ricerca di una musica che, pur essendo all’avanguardia, non perda mai di vista il suo potere comunicativo ed emotivo.
Giulia De Magistris non è solo una musicologa emergente; è una sostenitrice appassionata di un approccio alla musica che riconnette l’analisi tecnica alla risonanza umana. Il suo desiderio di esplorare le profondità della sinfonia emotiva insita in ogni nota, in ogni tema, in ogni composizione, la posiziona come una figura chiave per il futuro della musicologia.
Il suo percorso, le sue sfide e le sue aspirazioni sono un chiaro messaggio: la musica è un linguaggio universale che parla direttamente all’anima, e figure come Giulia sono essenziali per aiutarci a decifrarne i messaggi più profondi e a riscoprire la sua intrinseca, inesauribile bellezza.





